
La Cannabis, anche chiamata Canapa o Marijuana, è una pianta appartenente alle angiosperme e con il termine generico “Cannabinoidi” si comprendono tutte le sostanze psicoattive che si ottengono dalle infiorescenze femminili di tale pianta. Il termine comprende circa 60 componenti attivi fra cui i più importanti sono: il tetraidrocannabinolo (THC), componente attivo primario il cannabidiolo (CBD) il cannabinolo (CBN).

Moderata euforia e senso di “pace” sono gli effetti principali di tali sostanze. Gli effetti collaterali consistono in: sonnolenza, mancanza d’ascolto, modificazioni nella percezione spazio-temporale (guidare sotto gli effetti della cannabis è infatti pericolosissimo), agitazione, irritazione, congiuntivite, midriasi (pupille dilatate).
Stato fisico ed emozionale e tossicità
Lo stato indotto dalla cannabis varia notevolmente in accordo con la personalità di chi l’assume, al suo stato psicologico, alle condizioni esterne, al modo d’uso e alla quantità di THC assunto. A causa di tale variabilità la cannabis può provocare differenti effetti anche sullo stesso individuo e pertanto lo stato fisico/emozionale indotto non è mai prevedibile.
La cannabis ha una tossicità “diretta” molto bassa: non vi sono chiari casi documentati di morte per cannabis nell’uomo; sono tuttavia documentati moltissimi incidenti -stradali, sul lavoro, etc.- mortali connessi all’abuso di cannabinoidi.
Il meccanismo d’azione nei cannabinoidi

Una volta assorbito, il THC si distribuisce ai vari organi del corpo specialmente in quelli che hanno concentrazioni significative di grassi -i cannabinoidi sono liposolubili-; a causa di ciò il THC si accumula nell’organismo e la sua presenza può essere rintracciata anche a mesi di distanza dall’ultima assunzione.
Il THC inoltre penetra rapidamente nell’encefalo poiché la barriera emato-encefalica non ostacola il suo passaggio.
Utilizzo della Cannabis in medicina

L’utilizzo della Cannabis in medicina è stato a lungo dibattuto: nel 1850, la sostanza faceva parte della Farmacopea Britannica e Statunitense per poi essere rimossa all’inizio del XX secolo in favore di sostanze più sicure e con minore rischio di essere utilizzate impropriamente.
In Italia, dal 2003, l’uso della pianta, sotto forma di preparazioni farmaceutiche magistrali, è legale per alleviare i disturbi di alcune gravi malattie. Tuttavia, l’utilizzo terapeutico continua ancora a essere dibattuto poiché le evidenze scientifiche sono molto frammentate e non si dispone di dati comparabili tra loro.
La difficoltà nello studiarne gli effetti terapeutici e tossici è legata anche al fatto che la pianta, se assunta, produce una vasta e diversificata gamma di sostanze: quasi 750 attualmente individuate, definite metaboliti secondari, che non sembrano avere una funzione diretta sulla crescita e sullo sviluppo ma che hanno come funzione principale la difesa della pianta da predatori e agenti patogeni. Più di 65 di queste sostanze appartengono alla famiglia dei cannabinoidi, molecole che agiscono sul corpo umano mimando gli effetti di sostanze normalmente prodotte dall’organismo (endocannabinoidi) per regolare numerose funzioni come, ad esempio: memoria, concentrazione, percezione sensoriale, dolore, movimento, percezione del tempo, appetito, sviluppo cerebrale.

Il motivo della contraddittorietà, che spesso si può ritrovare nelle ricerche sulla cannabis, è dato da vari fattori, il principale di questi è che la maggior parte dei soggetti che fanno uso di cannabis lo fa associandola al tabacco il che, soprattutto nelle ricerche sulla possibilità di sviluppare patologie respiratorie o cancro, rende molto difficile stabilire quale sia il contributo dell’una o dell’altra nello sviluppo della patologia. Altra causa è il variare della percentuale di principi attivi come THC o cannabidiolo a causa delle numerose varietà di cannabis attuali. Un altro motivo non secondario è l’illegalità diffusa della sostanza, che potrebbe rendere riluttanti le persone a partecipare agli studi, oppure che potrebbero mentire sulla reale quantità utilizzata. Oltre alle persone, gli stessi ricercatori devono passare spesso per una lunga serie di pratiche burocratiche per studiarla.
di Luca Lo Russo
Fonti:
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