Giorni Perduti (film 1945)

Giorni Perduti è un film del 1945, adattamento cinematografico del romanzo “The Lost Weekend” dello scrittore statunitense Charles R. Jackson.

“Giorni Perduti” è un film del 1945 con la regia di Billy Wilder.

Il film è un adattamento cinematografico del romanzo “The Lost Weekend” dello scrittore statunitense Charles R. Jackson. Protagonista è un giovane scrittore che, per sottrarsi al tormento della sua vita, si rifugia nell’alcool. A breve diventa un alcolizzato nonostante gli sforzi e le cure assidue del fratello che lo ospita; Don Birman (questo il nome dello scrittore) non ha che uno scopo giornaliero: procurarsi l’alcool con stratagemmi, furti e tentativi disperati di farsi fare credito dai bar della zona. Il film tocca il tema dell’alcolismo in tutte le sue forme: partendo dalla padrona di casa ficcanaso che sa tutto e niente e passa il tempo a giudicare, al fratello che, dopo sei anni di inferno, è preso dallo sconforto e decide di lasciare perdere; l’unica a perseverare sarà Helen, la fidanzata di Danny, che infine riuscirà a guarire l’amato dopo che egli sarà sul punto di compiere il gesto estremo del suicidio.

La sofferenza personale del protagonista è il soggetto del film, in prospettiva l’argomento potrebbe essere quasi una metafora della droga. Il problema Alcool, per quanto presente, può essere considerato nei film obsoleto ma in quegli anni il personaggio alcolizzato era un personaggio comico, Wilder lo tratta per la prima volta per come è oggi universalmente riconosciuto: un malato. Giorni perduti sconvolse non solo gli alcolizzati: l’efficacia impressionante del linguaggio di Wilder costrinse tutti a considerare il problema come tale. E’ infatti questo il punto cardine di una delle discussioni tra Helen e il fratello di Danny: quest’ultimo è stufo delle continue menzogne, prostrato da sei anni di tentativi, non sa più che fare e decide di lasciar perdere perché “Danny non vuole smettere”; Helen invece, in lacrime ma con una grande forza d’animo, lo rimprovera dicendogli che se il fratello fosse malato di cuore non lo abbandonerebbe e questo è esattamente ciò che lui è: un malato.

Danny è schiavo di una spirale irreversibile che lo porterà prima in un ospedale per alcolizzati e poi a tentare il suicidio; Wilder non si preoccupò di fare mediazioni a favore del pubblico, cercò di raccontare la realtà in modo crudo, quasi violento, senza falsi moralismi in una chiave realistica quasi europea, con una sola eccezione: il finale davvero troppo “lieto”. A tal proposito il regista aggiunse che, nonostante alla fine il protagonista prometta alla fidanzata che cercherà di non toccare più una bottiglia, ciò non prelude il fatto che egli lo farà, nessuno ci vieta di pensare che il povero Don non si ubriachi nuovamente il giorno successivo o la settimana seguente.

La produzione era inizialmente riluttante all’idea di promuovere il film: appena il direttore della Paramount venne a conoscenza del progetto si mostrò fortemente contrario, non approvava quello che considerava “un sordido film su un ubriacone”; successivamente il consiglio direttivo decise di dare il via al progetto. Inoltre, la Production Code Administration impose alcune modifiche alla sceneggiatura scritta con Charles Brackett, in particolare riguardo l’omosessualità repressa del protagonista che, nella storia originale, è il motivo della sua discesa nell’alcolismo. Il Codice Hays proibiva infatti qualsiasi riferimento esplicito a ciò che considerava una “perversione sessuale” e Don Birman venne trasformato in uno scrittore in crisi creativa e con una relazione con la fedele Helen St. Jame. Un altro motivo di preoccupazione per la PCA era il personaggio di Gloria, la cui caratterizzazione come prostituta apparve inaccettabile ma Wilder ignorò la questione sottolineando che in nessuna parte della sceneggiatura era indicata esplicitamente come tale; il regista riuscì ad eludere l’intervento della censura anche sul personaggio dell’infermiere dirigendo l’attore in modo che interpretasse il ruolo come un omosessuale, senza esagerare nei modi, così che non potessero avere nulla da obbiettare. Nonostante tutte le prerogative negative il film fu ben accolto dalla critica e, nello stesso anno, vinse quattro premi oscar: miglior regia, miglior attore Ray Milland, miglior film e Billy fu il primo a vincere per la miglior sceneggiatura non originale.


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La prima edizione italiana critica e integrale di un riconosciuto capolavoro della letteratura americana. Uno dei più famosi e geniali romanzi sull’alcolismo e sul rapporto tra alcol e scrittura, portato sullo schermo da Billy Wilder e vincitore di quattro premi Oscar e della Palma d’oro a Cannes. La storia di una drammatica discesa all’inferno che – unica differenza rispetto al film – non ha un finale consolatorio.


Il film è considerato appartenente al filone del melodramma che era caratterizzato da un prosciugamento della letterarietà a vantaggio dell’essenzialità drammaturgica, non ci si perde infatti in descrizioni ma si prediligono i fatti che travolgono il giovane Don e i sentimenti che lo prosciugano di giorno in giorno; l’esaltazione delle passioni primarie a scapito dei temi storico-essenziali, non vengono trattati grandi temi storici, non viene esaltata l’America, ne viene anzi data una visione cinica dei bassifondi oltre che estremamente realistica; l’accentuazione espressiva contro le divagazioni narrative, accentuati appunto i sentimenti del protagonista nelle sue lunghe conversazioni con il barista Net e la recitazione a tinte forti di cui Ray Milland ne è un’efficace prova. Caratteristiche proprie del melodramma che non ritroviamo in questo film sono la trama romanzesca ricca di colpi di scena e al limite dell’inverosimile, scopertamente mirata a commuovere lo spettatore e i personaggi tratteggiati in modo netto tra buoni e cattivi: Don si trova infatti nel limbo, lasciando il pubblico libero di giudicarlo e compatirlo a momenti alterni.

Il genere proprio di Wilder, infatti, viene più spesso definito “dramma” per l’assenza degli estremismi emotivi propri del “melò”; a questi l’innovativo regista sostituisce il cupo realismo, la sua formazione mitteleuropea gli permise di considerare gli Usa, i loro valori e il loro stile di vita, in maniera disincantata, senza osannarne i costumi ma dando invece una visione profondamente realista tipica, in quegli anni, dell’Italia; il desiderio di realismo di Billy oltrepassava di gran lunga le convenzioni hollywoodiane,  tant’è che, come abbiamo già detto, la Paramount non voleva distribuire il film inizialmente.

Wilder introdusse nei suoi film l’idea pirandelliana che le diverse personalità dell’individuo siano sempre e comunque mutevoli, simili ad abiti da indossare o togliere a seconda delle circostanze e delle opportunità. Ne vediamo un esempio ne “I Giorni Perduti” in cui Don vede la bottiglia come il suo peggior nemico, ma il suo peggior nemico è in realtà sé stesso, ed è proprio l’alcolizzato a spiegarlo ad Helen all’inizio della loro relazione: le dice che esistono due Don Birman, lo scrittore e l’alcolizzato; e sarà quella stessa conversazione a salvare il giovane alla fine del dramma quando Helen lo pregherà di non uccidere Birman lo Scrittore nel tentativo di eliminare Birman l’Alcolizzato. Il film è dominato dal tema della maschera, dal conflitto interiore dei personaggi di scegliere tra opportunismo e dignità personale come vediamo in moltissime scene in cui Danny rinuncia alla propria dignità nel tentativo di ottenere ancora un altro goccio di Whisky.

Secondo alcuni critici il film apparterrebbe anche al genere noir espressionista, soprattutto per fattori come il theremin, strumento musicale elettronico tipicamente usato nel genere noir, della colonna sonora di Miklós Rózsa e le immagini allucinatorie notturne che assalgono Danny  di un pipistrello in picchiata e un topo sanguinante.

di Martina Ricchi

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Giorni_perduti

http://www.treccani.it/enciclopedia/billy-wilder_(Enciclopedia-del-Cinema)/

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